Mele Rosa dei Monti Sibillini
Tra i frutti conservati per la stagione fredda le mele e le castagne hanno sempre rappresentano le principali risorse nell’area montana dei Monti Sibillini. Tuttavia nel corso degli ultimi decenni la tipologia delle mele che compaiono più frequentemente sulle nostre tavole è mutata a scapito delle numerose varietà locali e dall’irrilevante loro importanza commerciale. Rimane molto viva nella memoria degli anziani locali il ricordo delle antiche varietà di melo, come la mela rosa dei Monti Sibillini, che spesso erano parte integrante del paesaggio, dell’economia e della vita sociale nel corso delle stagioni. Voglio soffermarmi su questo patrimonio di biodiversità agronomica, visto che il declino dell’agricoltura montana ne ha già determinato una progressiva ed importante riduzione e magari sollecitarne la riscoperta e la valorizzazione.
L’opera dei Frati Benedettini fù quella di congiungere il tempo di fine Impero Romano ed il nuovo, caratterizzato dalla disgregazione sociale ed economica. L’ambiente montano rappresentò presto il rifugio e il luogo di contemplazione dove iniziare l’importante opera di conservazione e adattamento di cultivar fino a quel momento ostili in territori di montagna. Arquata del Tronto, sotto il loro controllo, dovette rappresentare il laboratorio da dove dare inizio alla nuova progettazione forestale del nuovo tempo, proteggendo presso il monastero di Borgo i sistemi agricoli consolidati della tarda romanità.
Successivamente le varietà salvate o selezionate furono di nuovo propagate su ampia scala attraverso nuovi incroci, in particolar modo utilizzando il melo selvatico tipico del territorio, lo Schiangio, portainnesti rustico e spontaneo usato ancora oggi. Esso ha probabilmente consentito ai Benedettini di ottenere l’ibridazione necessaria, adattando al nuovo habitat le cultivar di origine mediterranea tipiche del tempo imperiale.
Ecco perché il territorio Arquatano custodisce una numerosa serie di antiche varietà colturali che lo rendono depositario di un importante patrimonio di biodiversità, alcune delle quali non ancora censite. La scarsa sensibilità nei confronti della tutela delle varietà locali, non solo della tipologia melo, ha seriamente messo a rischio, negli ultimi decenni, quelle preziose risorse della nostra agricoltura montana che ha il pregio di essersi sviluppata in armonia con le caratteristiche del territorio.
La Mela Rosa risulta ancora particolarmente frequente nell’area dei Monti Sibillini, tra i 500 e i 1000 metri s.l.m. in diverse tipologie ed in varie forme, caratterizzate dal colore della buccia verde o gialla e rosso più o meno intenso. Presentano dimensioni medio-piccole e picciolo corto. Si caratterizza per la polpa croccante, leggermente acidula, di colore bianco e dall’inconfondibile profumo aromatico.
Il Melo può presentarsi con diversità di forma a seconda degli ambienti in cui è coltivato, sopra gli 800 metri s.l.m. lo sbalzo termico tra il giorno e la notte è naturalmente più marcato donando al frutto una forma tondeggiante, l’arrossamento vivace con una leggera rugginosità nella prossimità del picciolo, simbolo di dolcezza e fragranza del frutto. Sotto tale quota la forma tende ad essere più schiacciata, minore intensità del rossore e senza il color ruggine.
Ha la caratteristica unica, insieme allo Schiangio, di non marcire totalmente, come vedete dalla foto in alto, il marciume non tende ad allargare ma viene circoscritto nella parte colpita, autocicatrizzandosi.
Il nome, Rosa, potrebbe derivare o dalla colorazione del frutto maturo o dal profumo dei suoi fiori durante il periodo della fioritura.
La grande diffusione di questa varietà si deve al fatto che un tempo era ricercata per la sua ottima capacità di conservarsi per tutto l’inverno.
Stoccata nei pagliai con il passar dei mesi le sue caratteristiche organolettiche tendono a migliorare, poiché la polpa
compatta diventa più morbida.
Parliamo di coltivazioni sporadiche oggi, ma con felici eccezioni, nella località di Tufo è presente un impianto degli inizi anni ’80 di 250 piante di meli a
dimostrazione del legame costante con il territorio e con le visioni di chi quei luoghi li viveva con uno sguardo al futuro.
Vanno mangiate con la buccia, la coltivazione è davvero Naturale, lasciata a se stessa, senza nessun accorgimento fitosanitario. Sono ottime anche cucinate al forno, un tempo sulle braci dei camini o nelle stufe economiche, per la preparazione di composte, usate nei tipici dolci locali, torte, crostate o semplicemente spalmata su una fetta di pane, è sempre un piacere per buongustai e palati fini.
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