Vino Cotto del TRONTO
L'articolo sul Vino Cotto nasce partendo da due presupposti, il primo si basa sui racconti di mio nonno Pietro di Capodirigo di Acquasanta Terme, raccontava sui metodi e segreti del vino tramandati da tempi remoti in quelle zone. Il secondo per controbilanciare la cultura vinicola imperante che vuole che il vino e i suoi derivati siano figli della collina o della pianura e non di quella montana, considerata marginale.
Il Vino Cotto originale era ed è un vino da beva non un vino marsalato come ha imposto negli ultimi vent'anni la cultura imperante dei vini robusti a scapito del prodotto tipico di montagna.
Il vino rappresenta cultura, tradizione e passione perché legato indissolubilmante al luogo, alle persone a ai racconti passati. Non si è avuta un’evoluzione storica della bevanda perché il suo ruolo era ed è essenziale alla comunità, rituale, conviviale, commerciale. Intuizioni e visioni che oggi possono apparire riduttive rispetto all’evoluzione continua dell’enologia moderna. Un tempo si pigiava l’uva e si attendeva che la natura facesse il suo corso. I sapori si combinavano e cambiavano secondo le stagioni del tempo della vendemmia e dai segreti che ogni famiglia riteneva indispensabili per donare carattere al proprio vino. Oggi il gusto è certamente cambiato, il concetto di qualità si è certamente ampliato ed allo stesso tempo allontanato dal concetto di naturale. L’aggettivazione si è progressivamente arricchita, struttura, consistenza, freschezza ad esempio, a scapito della leggerezza prerogativa del passato e dalla natura del prodotto montano.
Voglio rimarcare i riferimenti storici sulla viticoltura locale per poter supportare la tesi che il Vino Cotto è stato da sempre caratteristico e tradizionale della zona dell’Alto Tronto, tanto da essere decantato da due millenni. I riferimenti che indicano la sua derivazione dai Greci sono semplicemente fantasiosi perchè la sua preparazione si sarebbe diffusa in modo capillare, penso a quello che fù la Magna Grecia e non circoscritta all'area Picena.
Gli albori del Vino Cotto risalgono probabilmente al popolo dei Sabini. La leggenda narra che Pico, trasformato dalla Dea Circe in Picchio, incontrò una tribù di giovani Sabini in viaggio, alla ricerca di nuove terre, dal reatino verso l’Adriatico. Si posò sulle loro insegne, un fatto che venne interpretato come un segno della benevolenza degli dei. I giovani Sabini seguirono quindi l’uccello fino alle rive del fiume Tronto e si stanziarono li dove l’uccello si era fermato decretando la nascita del popolo dei Piceni.
Dopo la battaglia del Trasimeno del 217 a. C. le truppe di Annibale per ritemprarsi dalle fatiche belliche prima di raggiungere l’Adriatico, attraversando quello che ancora oggi chiamiamo il Tracciato di Annibale sopra Spelonga e Colle, si dissetarono con il Nostro Vino Cotto. Così racconta Tito Livio (morto nel 17 d. C.).
“ Annibale, attraverso l’Umbria, marciò direttamente su Spoleto … Cominciò l’assedio alla città, ma fu respinto con grave danno… Si diresse quindi verso l’alto Piceno, ricco non solo di messi, ma anche di prede che i suoi soldati, bisognosi di tutto, rubavano senza ritegno…. Era tale l’abbondanza di vino vecchio che ci faceva lavare le zampe dei cavalli.”
Altre citazioni riferibili a questi luoghi e che ci legano alla coltura della vite risalgono al tempo di, Plinio il Vecchio, I sec. d.C, nella sua “Naturalis Historia” elogia la qualità dell'uva picena aggettivandola come “Generosa”:
“Ottimi vini fulvi e bianco-dorati realizzati con l’aggiunta di vino moscatello, di buona consistenza, tanto che sopportano di essere trasportati per mare, che hanno la loro specifica origine nei terreni ricchi di sostanze solforose, esposti al sole e moderatamente umidi dell’Appennino". Cita i dettami della preparazione del vino cotto della zona: "è opera di ingegno e non di natura cuocendosi il mosto finché sia consumato il terzo della sua quantità; deve essere cotto solo quando la luna non si vede perché congiunta al sole". Ed ancora:".....i cotti hanno il sapor loro e non quello del vino".
Plinio, al tempo, era il Procuratore al servizio della famiglia imperiale di Vespasiano, detta dei Flavi, originaria della Sabina a cui apparteneva tutta l'area dell'Alta valle del Tronto. Dimoravano presso la zona della Frazione Vezzano di Arquata del Tronto, ancora oggi chiamata Valle Romana. Territorio
già vignato al tempo, un agrobiodiversità unica, una miscela dei vini bianchi e rossi a comporre la base del Vino Cotto, la ragione era semplice, evitare che diventasse aceto. Il Moscatello
era una delle tante varietà di vite, dolcissimo donava la parte zuccherina ed equilibrava la parte più acidula, fino ad
ottenere la giusta consistenza. Uva Vacca, Mostosa, Malvasia, Montonico bianco e nero, Moscatello bianco e nero. Il Pecorino e lo Zibibbo, Pizzutella, Zitellina, etc. saranno
presenti in loco dall’alto medioevo. Nelle vigne generalmente erano presenti tutti i vitigni citati e le uve lavorate tutt’assieme con l'ultima aggiunta dell'uva Melata, di solito coltivata nelle
pergole sull'uscio delle case.
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Lo scrittore Lucio Giunio Moderato Columella, I sec. d.c, in “De re rustica”, fa riferimento all'uso tra gli Imperatori Romani di bere il vino cotto a fine pasto.
Il vino cotto del tempo imperiale era molto diverso dall'odierno perchè non affinato nel legno di castagno ma riposto in anfora per pochi anni e bevuto come vino vecchio. L'intensificarsi della coltivazione del Castagno in Montagna verso l'anno 1000, per opera dei Monaci Benedettini permise il suo utilizzo per le strutture delle vigne e per la costruzioni delle botti. In esse l'affinamento risultava più completa perchè adatta all'invecchiamento del vino per più anni. Risulta, a mio parere, non corretto raffrontare il vino cotto imperiale con quello medievale perchè prodotti diversi per via dell'affinamento anche decennale.
Nel 1534 Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, esalta la bontà del Vino Cotto della zona dell'Alto Tronto ritenendolo di qualità tale da poter essere utilizzato nel rito sacrificale della Santa Messa.
Andrea Bacci, filosofo e scrittore nato a Sant’Elpidio a Mare nel 1524 e deceduto a Roma nel 1600, medico di uno dei pochi Papi marchigiani, Sisto V. Nel 1596 pubblicò l'importantissima opera “De naturali vinorum historia, De vinis Italiae e De conviviis antiquorum". Trattato in latino sui vini italiani suddiviso in sette libri e nel quinto, “In Picenis”, parla dei vini del Piceno. Nel capitolo XV del Libro I, descrive la produzione del vino cotto, della sapa, dell’acquaticcio e del vino novello, un unicum della zona dell'Alto Tronto. Nel dettaglio, pagina 42 nel capitolo: Vino nell'Agro di Ascoli Piceno :
Nell’agro ascolano, nelle vicinanze del fiume Tronto, si producono vini molto robusti, specialmente nella zona dove le viti sono raggiunte, attraverso le aperte foci di quel grandissimo fiume, dall’aria del mare che, come già detto in precedenza, ha la capacità di regolare e perfezionare la sostanza del vino. Inoltre dalle colline esposte al sole, quelle precisamente che s’elevano dal terreno ricco di sostanze solforose presso le Tenne dell’Acqua Santa per cui l’umidità di quella regione è temperata dalla felice atmosfera naturale, provengono uve splendide che gli industri coloni coltivano badando non tanto alla quantità quanto alla loro perfezione. Con identica cura producono i vini poiché, edotti per lo più dall’esperienza e tenendo conto della fortunata posizione dei terreni, o li ripurgano appena oppure fanno bollire molto accuratamente i molti che provengono da siti più umidi e poi li versano ancora bollenti dalle grandi caldaie in capacissime botti, molto solide ed alcune addirittura di cento anni ricevute in eredità. In questo modo la matrice del tartaro formatasi da sola nelle botti o indurita con la resina accoglie il vino così versato e ne completa la formazione, e ciò molto efficacemente perché l’energia propria del vino, più vigorosamente rafforzata in una così grande quantità dì vino e dall’unione di tante energie, fa sì che la vera sostanza del vino si mantenga intatta per un tempo assai lungo, anche oltre i dieci anni, anzi, in certe cantine e nelle botti molto grandi e ben tenute, quando ogni anno si abbiano vendemmie abbondanti e non ci si preoccupi di venderli, questi vini si conservano tra le cose di maggior gradimento per trenta e più anni. Tralascio di parlare a questo punto di altri tipi di vini generosi che si producono in abbondanza in queste campagne, rossi e alcuni non cotti, aromatizzati con uva moscatella o Malvasia. Infatti non v’è dubbio che l’industriosità dell’uomo supera la produttività del terreno e talvolta costringe persino ad essere produttivo un luogo che per sua natura non lo sarebbe.
Fondamentale è poi la doppia rivoluzione che arrivò nel 1800, la prima è l’aumento della popolazione che porta ad incentivare la produzione cerealicola a scapito della vitivinicola e la seconda è l’arrivo della Fillossera. L’incidenza è particolarmente profonda tanto che nella rilevazione dell'Estimo Rustico Gregoriano di metà secolo risultano solo 128 ettari di vigne nella provincia di Ascoli Piceno per lo più concentrate nel territorio di Arquata del Tronto. Se ne parla anche nell'inchiesta Jacini ( Inchiesta Jacini, vol. XI/2, appendice ai capp. V, VI, VII, VIII, pag. 723).
L’Eco del Tronto del 23 dicembre 1868, tratta in suo articolo della tradizione locale di cuocere il vino per impedirne l’acidificazione lungo la Valle del Fiume Tronto. Infatti i vini della zona pedemontana della valle hanno una bassa gradazione alcolica per via della zona climatica. A differenza delle zone con una altezza sul livello del mare sotto i 400 metri, dove i vini sono, ed erano, abbastanza robusti da resistere all’ossidazione del vino nel tempo.
La diffusione della cultura agricola montana si avrà in particolar modo dopo l’unità d’Italia. L’arrivo dei Savoia provocò un sentito malcontento tra i piccoli agricoltori autonomi montani anche con scontri armati. La rappresaglia non tardò ad arrivare, tanto che ad Arquata del Tronto fù chiuso il Monastero Francescano che per centinaia d’anni aveva protetto gli usi e costumi locali e ceduto in possesso al Comune ormai filo nazionale. I Comuni di Quintodecimo, Rocca di Monte Acuto, Rocca Monte Calvo, Santa Maria, furono esautorati e posti sotto Acquasanta Terme. Possiamo identificare questo periodo come l’inizio dello spopolamento montano verso la pianura o nelle Americhe.
Lo Storico bresciano Gabriele Rosa, nel secondo volume:” Disegno della Storia di Ascoli Piceno” del
1870, riporta:” Il Piceno ha eccellenti uve bianche e rosse, ma solo ora piglia ad esperimentare la sostituzione dei vini crudi accurati, ai vini
cotti”. È evidente che fino ad allora il Vino Cotto fosse un prodotto di Montagna.
Francesco De Bosis nel 1875 racconta come fosse consuetudine cuocere il mosto nei territori Montani e Pedemontani del Piceno, dove la coltivazione si estendeva oltre i 1000 metri di altitudine:".... si intendeva dai più fino a questi ultimi tempi di correggere i difetti di qualità dei mosti mediante cottura. Così mentre mal accortamente si preferiva per il mosto la quantità sulla qualità, per trasmutarlo in vino si riduceva la prima con dispendio di combustibile, e producendo una bevanda di gravezza allo stomaco per l'incompleta fermentazione e facilmente inebriante".
Citato anche dal Dott. Silvio Laureti, 1900, della Cattedra ambulante del Circondario di Ascoli Piceno, nell’Opuscolo: ” I vini cotti e l’enologia picena”. Ne descrive il metodo di preparazione ma ne consiglia delle variazioni perchè utilizzando il vino di pianura, con più alta gradazione alcolica, si otteneva un prodotto poco adatto all’uso quotidiano e al consumo perchè più liquoroso. Consiglia una metodologia di preparazione in cui al mosto cotto venga aggiunto del mosto crudo, per ottenere un vino più bevibile, oggi denominato Conservato.
Le ragioni per cui il Vino Cotto fosse così importante per la nostra zona sono diversi, innanzi tutto, come detto, era un metodo per salvaguardare il vino prima che diventasse aceto. La posizione altimetrica delle vigne, sopra i 400 metri s.l.m. non permetteva un'alta gradazione alcolica, a differenza di quelli della pianura più "forti", l’unico modo per far resistere nel tempo il vino era cuocerlo, oltre ad usare i metodi chiamati: Vino Governato e Rigovernato. Mio nonno aveva una caldaia apposita di rame da sei quintali e il suo più grande encomio era l'utilizzo del suo vino per dire messa. Ed contrariamente all'uso odierno, era utilizzato anche come vino da pasto, la sua gradazione non superava i 12-13 % Vol alcolico.
Olimpia Gobbi descrive la viticoltura di Montagna di Arquata del Tronto e della zona pedemontana picena in:" Libro dei fattori di campagna", pag.41, " Vigne e vignaioli del Piceno montano: secoli XV-XVI". Il Vino Cotto ad Arquata è da sempre uno dei prodotti più amati. Negli altri territori della zona pedemontana picena parla dell'usanza di cuocere parzialmente il vino con l'aggiunta di mosto, il già citato conservato. Arquata era il solo Comune del circondario ad avere le vigne sopra i 600 metri s.l.m. ed la cottura del vino una delle necessità, come lo era nel territorio del Comune di Quntodecimo, oggi territorio del Comune Acquasanta Terme, per via dell'esposizione a nord.
La salvaguardia del vino è stata una lotta millenaria in queste terre, l’unico svago ad una vita grama di sacrifici e sopportazione, tanto da essere nella dote delle donne da maritare o per festeggiare l'arrivo del nascituro. Rimedio per la cura dei malanni di stagione, veniva versato in una pentola posta sul fuoco a scaldare e poi con una fiamma, bruciata la parte alcolica, era lo sciroppo mucolitico o fluidificante dei bambini di un tempo. Unguento per le contusioni e igienizzante, ad esempio per lavare i budelli per la preparazione dei salumi, per lavare i prosciutti dopo la salatura, era parte integrante della vita del luogo in molteplici usi quotidiani.
Ricordare il Vino Cotto e le uve che lo componevano un tempo è raccontare il paesaggio di un tempo e la storia di questa tipologia di vino. I segni che legano il Vino Cotto all'alto Fiume Tronto sono tantissimi, cito ad esempio l'ingrediente che ogni famiglia utilizzava per la sua preparazione, la Mela Cotogna. La sua riduzione più spinta, con l'aggiunta del cotogno, portava ad un'ulteriore prodotto tipico, la cotognata al vino cotto, utilizzata nei dolci locali o come companatico.
Spesso ripercorrere la strada delle Tradizioni fornisce una precisa immagine delle condizioni di vita del passato, itinerari di continue ricerche, di tecniche e
combinazioni per esaltare e preservare il gusto dei prodotti. Un'emozione a cui ritornare, rivalutando il senso dell'olfatto e degli aromi, un vino di qualità è prima di tutto nei suoi
profumi non nella percentuale di alcol.
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gabriele (giovedì, 09 febbraio 2017 18:09)
Ciao,ci siamo sentiti per telefono oggi pomeriggio.Ricordo che mio suocero per "marchiare" il vino cotto usava dire" se po taja cor cortello!
www.comitatomarche.it (mercoledì, 22 gennaio 2020 19:50)
si salve siamo proprio noi dal comitato marche . it
ricordiamo ancora nostro suocero (in comune) che usava dire per "stappare" il vino cotto "ao se po stappà cor grissino zì!" seguito da una serie di blasfemie incomprensibili.
che piacevoli ricordi, pace all'anima sua
cordiali saluti
www.comitatomarche.com